Questioni di lingua: necessitiamo di un dizionario veg*?
Ciao a tutti/e e ben ritrovati/e!
Oggi non parliamo strettamente di cibo, ci allarghiamo e abbracciamo un’accezione quasi filosofica, concentrandoci su un tema che incrocia due mie passioni: il cibo e la lingua italiana (e non solo quella italiana). Penserete a qualcosa di grandemente complicato, in realtà non lo è, è anzi una questione che si ripresenta ciclicamente nella vita di tutti i giorni, a seconda del grado di pignoleria del vostro (o dei vostri) interlocutori.
Mi è capitato spesso – proprio di recente, tra l’altro – che nelle conversazioni venissero sollevate obiezioni relative all’uso di termini quali “latte”, “affettato”, “formaggio” che si riferissero ai loro corrispettivi vegetali e che, quindi, non avessero un collegamento con l’originale versione animale. Insomma, per gli onnivori più duri e puri un “latte” non può essere tale – né essere definito tale – se non è di mucca, stessa cosa per quanto riguarda affettati alternativi quali lupino, mopur o seitan, per i “formaggi” che arrivano dalla soia o dal riso, e per molte altre cose.
Io il problema non me l’ero mai posta, ma non è forse questo il bello del confronto con gli altri?
A essere sincera, la cosa mi provoca il sorriso, perché a mio avviso evidenzia una certa volontà di provocare chi è veg*, eheh. Penso questo perché già da molto prima che l’essere vegetariani/vegani diventasse un modus vivendi largamente condiviso, esistevano prodotti quali il latte di mandorla e quello di cocco. Nessuno ha però mai mosso perplessità sui nomi di questi due prodotti, non fino a quando il veganismo è esploso, con al seguito la sua bella scia di polemiche e criticità. Da lì in poi ha preso piede la moda di voler mettere i puntini sulle i, sostenendo che quel particolare cibo non deve essere chiamato in quel modo, perché ritenuta un’appropriazione indebita di terminologie legate al mondo dell’alimentazione onnivora…
Per farla breve, secondo chi la pensa in questo modo, dovremmo inventarci il nostro personale dizionario veg*, così da non abusare di ciò che è onnivoro. Personalmente non vedo il bisogno di arrivare a tanto, in fondo di economia linguistica se ne fa già molta. “Bevanda alla soia” è sicuramente più macchinoso di “latte di soia”, quindi non capisco perché impuntarsi su una semplice formalità! 🙂 La questione non è mai sorta, ad esempio per il “latte solare” da spalmarci in spiaggia, come non ho mai sentito nessuno lamentarsi del fatto che un rossetto dovrebbe rimanere rosso per restare aderente al nome, anche se è fucsia o nero!
Il caso più eclatante, comunque, è quello legato alla carbonara. Ovunque si annidi una carbonara e la si accoppi alla parola “veg*”, state sicuri che troverete una polemica, anche piuttosto accesa. A dire la verità, non so perché gli animi si scaldino tanto solo per la carbonara e non, che so, per le lasagne, ma tant’è: la carbonara è intoccabile.
E dire che io sono diventata veg* proprio in seguito a una vecchia polemica sulla carbonara… se le polemiche linguistiche hanno tutte questo effetto, beh tanto meglio, ahah!
E voi che ne pensate di tutta questa storia? Davvero chi è veg* non dovrebbe usare termini che rimandino a quei cibi a cui si è deciso di rinunciare?
Intanto che ci pensate io vi saluto,
alla prossima!